Il buono e i cattivi, un grande amore osteggiato, sparizioni e agnizioni, odi et amo: non manca nulla per fare di I segreti di Borgo Larici (su Canale 5 dal 15 gennaio) un perfetto romanzo d’appendice.
C’è un contesto storico lontano nel tempo ma non troppo, nel momento di una svolta epocale: l’Italia del primo dopoguerra (le lotte sindacali, l’espansione del capitalismo, l’ascesa del fascismo), una piccola località di provincia, perfetto crogiolo di ogni passione. Francesco ama Anita, ma lui è il primogenito di un industriale e lei la figlia di un operaio. Lei intrisa dei valori del socialismo, lui un playboy con dubbi che alla guida della fabbrica preferisce quella di un’auto da corsa. Si incontrano ed è subito amore e dramma. Che sfocerà in una serie di fatti di sangue (c’è persino un sicario che si aggira nottetempo).
È dai tempi di Elisa di Rivombrosa che non si vedeva una fiction italiana che cavalcasse con tanta convinzione gli stereotipi del feuilleton senza rinunciare alla qualità e al ritmo: a tratti sfarzose nella ricostruzione d’epoca, le 7 puntate sono piene di colpi di scena. Finanziato dalla Film Commission Torino Piemonte, la serie è stata girata tra Torino e i comuni di San Giorgio e Romano Canavese, dove è stato ricreato il paese fittizio di Borgo Larici (modello di riferimento il villaggio di Crespi d’Adda nei pressi di Milano, costruito a inizio 900 da una famiglia di imprenditori lombardi per ospitarvi i propri dipendenti), con location anche al Castello Reale di Racconigi e alla Certosa di Collegno.
Privo delle solite star televisive ma con ottimi attori nei ruoli di contorno (Daniela Virgilio, Adalberto Maria Merli, Massimo Wertmüller, Andrea Tidona), I segreti di Borgo Larici punta tutto sulla bella faccia di Giulio Berruti, nel ruolo di Francesco. «In realtà ero andato ai provini per la parte del cattivo, lo squadrista Rico Bastiani: volevo uscire dal cliché e iniziare un nuovo percorso. Ma Francesco era un personaggio troppo romantico e idealista, avventuroso e coraggioso nel ribellarsi al vecchio sistema patriarcale per non fare di tutto per interpretarlo». Romano con ascendenze torinesi (il padre), odontoiatra mancato, Giulio Berruti è per molti l’erede del sex symbol televisivo per eccellenza, Gabriel Garko. Ride e nega. «Gabriel è giovane e in ottima salute: perché volerlo mandare in pensione anzitempo?». Privo di formazione accademica, ha iniziato a prendere sul serio il mestiere d’attore - confessa - solo dopo l’università, finita per far contenti i genitori e garantirsi un futuro in caso di fallimento.
«Quello dell’attore è lavoro incerto e difficile, in carico al quale metti tante notti in bianco e il fegato amaro, soprattutto se, come me, sei uno che vuole avere il controllo delle cose».
Si definisce «autodidatta e istintivo, con ancora tutto da imparare». Ma alle spalle ha una carriera intensa e interessante: varie fiction (La figlia di Elisa. Ritorno a Rivombrosa, per tutte) e film, anche produzioni internazionali. Come Hollyday, che girerà a primavera. «Un musical dove recito, canto e ballo. Degli ideatori di Street Dance». O come il chiacchieratissimo Goltzius and the Pelican Company di Peter Greenaway: al Festival di Roma ha fatto scalpore. «Sapevo che avrei recitato nudo. La sorpresa è stata essere ripreso di fronte e con il sesso eretto. Alla fine si è parlato più di questo che del film, opera sontuosa che ricrea una serie di quadri viventi sul sesso e la sua mercificazione». Imbarazzante? «All’inizio, quando ti spogli. Poi le sovrastrutture cadono. È come quando al mare si fa il bagno nudi. Imbarazzati sono quelli con gli abiti addosso».
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